Fondazione Ente dello Spettacolo

La chiusura dei cinema non è solo una perdita economica

In molte case scarseggia il pane, falliscono filiere produttive, sta scomparendo una generazione. Editoria libraria, musei, teatri, spettacoli dal vivo, musica, festival, cinema (produzione, promozione culturale, esercizio) sono azzerati da mesi e lo saranno chissà ancora per quanti. Può apparire sgraziato invocare interventi pubblici per la cultura, per il cinema, per ciò che non è pane “con tutti i problemi che ci sono”. È un settore – fa bene ricordarlo – che in Italia da stipendio a 800.000 persone. “Non di solo pane vivrà l’uomo” risponde Gesù al demonio tentatore che vuole indurlo ad usare la sua potenza divina per trasformare i sassi in cibo, per limitare ad azioni materiali la sua reale missione di annunciatore di parole di vita, senso, speranza. Per orientare e sostenere la ripresa morale, sociale, civile e non solo economica del Paese questo pane è fondamentale. L’esperienza della fede, per i credenti, è la sintesi più piena di questa fame spirituale. Leggendo i provvedimenti, anche ultimi, che nel nostro Paese normano il comportamento dei cittadini in vista della riapertura graduale di tutte le attività, fa specie constatare come prevalga un’idea di uomo che deve stare in salute, per consumare e lavorare affinché alimenti il mercato. Offrire l’orizzonte e le modalità per riaprire – con responsabilità e gradualità, nel rispetto delle norme comunque stabilite – scuole, chiese, musei, eventi culturali – significa tornare ad offrire la possibilità di alimentare l’umanità della persona. La ripresa del Paese – il dopoguerra lo insegna – non può realizzarsi solo con progettualità economiche. Senza la fede e le chiese, senza la cultura e i suoi santuari laici, la possibilità della speranza, la natura stessa del soggetto rischiano di essere compromesse. Era la convinzione anche di Fabrizio De Andre’: “un uomo senza sogno, senza ideali, senza passione, senza slanci, sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio, una specie di cinghiale laureato in matematica pura”. Nell’indecisione di questo limbo, è urgente, in ambito culturale, una riflessione per capire come agire affinché questo settore, in tutte le sue
articolazioni, sopravviva. Non si tratta solo di salvare posti di lavoro. Il virus non ha bombardato palazzi ma la fiducia nel futuro, nelle relazioni, nel senso dell’esistere. A milioni di italiani, come tutti così abbattuti, spaventati, umiliati, mancano le esperienze e l’alimento della cultura. Occorre un piano, che vada ben oltre
sporadiche proposte, iniziative di bandiera” di dubbia realizzabilità, annunciate solo per dare l’illusione di vitalità o per occupare la scena. Occorre un piano, da varare con chi progetta e realizza cultura, non a favore. Esistono già: sono realtà attive, dinamiche, spesso piccole, con potenzialità straordinarie. Sono da ascoltare: se sostenute e indirizzate scateneranno un potenziale che nessun piano Marshall culturale centralizzato potrà mai ottenere. Realtà che non operano per un proprio pubblico ma per la stessa comunità in cui tutti stiamo, per i naviganti della stessa barca, come ha potentemente ricordato Papa Francesco. Chi lavora nella cultura agisce per attivare esperienze di senso e bellezza: una delle missioni più nobili. Fondazione Ente dello Spettacolo è una di queste realtà, la Rivista del Cinematografo ne è la voce: siamo come tutti feriti ma non a morte, invochiamo interventi politici di orizzonte, di sistema oltre che economici. Alle competenti Istituzioni dello Stato, al Mibact offriamo la disponibilità per progettare, confrontarci, collaborare: noi ci siamo per ritessere le trame della società, nutrire l’umanità di ciascuno, ridare forza al popolo, infondere il coraggio per tornare ad abitare con fiducia, le nostre piazze e le relazioni sociali.

Mons. DaviDe Milani

presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana