Il libro "Vita da Social" di Laura Lecchi

Qualche idea per educare i figli alla vita sui social

Avvocata e mamma, Laura Lecchi, bolognese ha prima fondato un’associazione Cromosoma 2.0, che si è proposta già nel 2012 di diffondere la cultura digitale tra i ragazzi ma anche tra gli adulti, genitori e docenti, spesso non abbastanza informati. Ora è uscito anche il libro “Vita da Social”, edizioni Graphot. Come possiamo fare per essere supporto o educare i nostri figli all’uso saggio degli strumenti tecnologici? La prima risposta suggerita dal libro è pensare che i primi a dover imparare siamo noi adulti senza cedere ad atteggiamenti arrendevoli nella rassegnata convizione che i figli con la tecnologia fanno come gli pare. Come in ogni cose che loro appartiene, i nostri figli ci insegnano e sono disponibili a farci entrare nel loro mondo di bambini e di adolescenti, da genitori, non da amici. Quindi osserviamoli, senza essere inquirenti, dimostriamo curiosità e non diffidenza o sospetto verso ciò che usano e apriamoci alla conoscenza degli strumenti che i ragazzi usano tutti i giorni.

Il secondo consiglio che il libro ci dà è che pur partendo dalla consapevolezza che a fronte dell’assenza totale di un modello educativo precedente di riferimento, non possiamo “mollare” o arrenderci a questo svantaggio  di partenza. Dunque cerchiamo di partire da insegnamenti di base. Consiglieremmo mai ai nostri figli di parlare con gli sconosciuti? Non credo. Tuttavia non ci preoccupiamo di insegnare loro di fare altrettanto nel web. Non impartiamo regole: consegniamo mezzi potenti come uno smartphone o un tablet come un trofeo, un traguardo, senza preoccuparci troppo di convenire regole nell’uso; per regole si intendono quelle che da sempre i genitori prevedono nella logica dell’educazione e che in questo caso devono essere indispensabili a evitare di mettersi nei guai od avere conseguenze gravi per l’uso di un mezzo come internet che è una risorsa, lo strumento rivoluzionario del presente e del futuro e come tale non può e non deve essere demonizzato.

Bisogna poi cercare di capire il grado di maturità e il senso della responsabilità che possono avere i nostri figli, instaurando un dialogo prezioso che non sia invasivo e mirato a conoscere i fatti loro a tutti i costi e in modo spasmodico, ma le loro abitudini digitali, rendendo questo un argomento come gli altri, invitandoli talora a farci spiegare come si usano certe app o funzioni che non conosciamo.

Consegnare la tecnologia ai nostri figli deve necessariamente metterli di fronte alla assunzione di una responsabilità che in ogni caso, in concreto, gli conferiamo: un compromesso importante per l’uso di regole per cittadini digitali del domani a fronte delle sempre più sofisticate tecnologie concesse loro in uso. L’educazione digitale è una delle forme di educazione da cui i genitori non possono esimerci, per generare consapevolezze e concedere alle generazioni future di capire come la tecnologia non può prendere il sopravvento sulla persona, che deve restare libera dai condizionamenti e dai pericoli che potrebbero concretizzarsi senza l’uso di conoscenza e prudenza. E’ la persona che governa lo strumento tecnologico, non quest’ultimo che governa noi; questo il pensiero che il libro condivide  per farci riflettere, ma anche per continuare ad essere da esempio e non i primi a offrire paradigmi non propriamente utili a mostrare condotte di buon senso nell’uso di smartphone, tablet e pc nel nostro quotidiano (Paola Della Torre).